Collettivo Nazionale di Studio
Quaderno di Critica “ANARCHICA”
Edizione “CANTIERE”  1954

Lettura di Errico Malatesta

malatestaPREFAZIONE

Presentiamo, dopo anni di colpevole ritardo, l’ottimo lavoro che la Commissione Nazionale di studio dei GAAP fece sul pensiero di Malatesta con il titolo “lettura di Errico Malatesta” per diverse buone ragioni.
Un’iniziale premessa: non tenteremo in questa prefazione un’ulteriore sintesi del lavoro in quanto esso si presenta già come “bignami” della riflessione e dell’agire politico del movimento anarchico e del ruolo di Malatesta nei confronti delle diverse strategie e tattiche che il movimento anarchico dispiega, a partire dal finire degli anni del secolo XIX° per arrivare fino agli anni 20 del secolo XX°.
La prima risiede nella conferma e nella validità di un metodo il quale partendo dai maggiori pensatori del movimento tenti di rendere continua e sufficientemente esaustiva una lettura degli accadimenti politici che pur nei diversi momenti storici e sociali in cui è costretta a misurarsi, avendo anche la capacità di emendarsi e di riflettere sugli errori e sulle sconfitte subite, non perda di linearità e di coerenza con i principi generali.
In sostanza una riflessione, come quella proposta, che abbracciando un arco di tempo di circa 40 anni permette ai compagni dei GAAP nel 1954 di avere un’efficace sintesi di pensiero e di proprie “tesi” rispetto ai due temi fondamentali dell’anarchismo militante, ma direi di tutte le scuole di pensiero politico del movimento operaio in generale: una corretta e soprattutto efficace impostazione tra il ruolo del partito, la sua condotta nelle organizzazioni di massa e di resistenza del proletariato, il ruolo di propulsione nella prospettiva rivoluzionaria.
La seconda ragione risiede nello specifico lavoro di sistemazione del pensiero malatestiano. I compagni dei GAAP riescono a definire un filo “rosso e nero” attraverso il quale Malatesta, a fronte degli sviluppi storici e politici che di volta in volta si trova ad analizzare ed in cui opera concretamente come militante della lotta di classe, puntualizza, suggerisce, stigmatizza e definisce con convinzione e linearità di linguaggio il che fare dei rivoluzionari, senza mai cadere in posizioni ultraminoritarie o settarie ed allo stesso tempo dando impulso alla inevitabile vocazione di massa del partito.
E’questo radicato convincimento che permette a Malatesta di non perdere mai i riferimenti fondamentali dell’azione di massa degli anarchici e del ruolo che questi devono avere nei sindacati. Credo che tale lavoro sia uno dei testi su cui sarebbe necessario far crescere le nuove leve di militanti comunisti libertari ed è un vero peccato, oltre che un segno della debolezza odierna che i rivoluzionari riscontrano, che ad oggi, a parte questa copia esclusivamente informatica, non sia stato ancora ristampato.
Lo presentiamo quindi, attraverso il nostro sito, sperando che sia ripreso, chiosato, stampato, studiato e invitiamo gli eventuali compagni lettori di farci pervenire le loro riflessioni, anche critiche.
Buona lettura.

Valente Cristiano
30/06/2009

INTRODUZIONE                                                                                                                                                                                                          

Nel pensiero di Errico Malatesta - pensiero che nel suo sviluppo compendia sessanta anni di esperienze rivoluzionarie - noi troviamo numerose posizioni alle quali il movimento anarchico può oggi richiamarsi con profitto: ad esempio la difesa del metodo organizzativo contro le aberrazioni degli antiorganizzatori, la valorizzazione dell'azione collettiva e di massa nei confronti dell'azione individuale, la tattica del gradualismo e del concretismo rivoluzionario, la teoria dell'insurrezione, il principio dell'unità operaia etc.
Ognuno di questi temi meriterebbe una trattazione particolare. Ma in questo breve saggio noi vogliamo dedicare la nostra attenzione ad un altro problema; quello dei rapporti tra l'organizzazione specifica del movimento rivoluzionario (anarchico) e l'organizzazione di massa, con particolare riguardo ai sindacati.
In un precedente opuscolo ( "lettura di Bakunin" ) abbiamo esposto il pensiero di Bakunin sui caratteri della prima Internazionale come organizzazione di massa, aperta a tutti i lavoratori indipendentemente dalle loro opinioni politiche.
Abbiamo spiegato come Bakunin sostenesse che a fianco di questa organizzazione di massa formata dai lavoratori che vi si associavano sulla base dei loro interessi e su un piano di solidarietà di classe, doveva operare un’organizzazione specifica con funzioni di orientamento e di direzione politica.
II contrasto fra Marx a Bakunin fu, fra l'altro, determinato non dal fatto che il primo ritenesse la necessità di una direzione politica ed il secondo la negasse, ma dal fatto che Marx, si proponeva di ridurre con procedimenti burocratici l'Internazionale a proprio partito politico, mentre Bakunin, contrastando questo disegno, rivendicava il carattere aperto dell'Internazionale e la conseguente sua base di massa, senza per questo negare la funzione d'orientamento e di propulsione che il partito, organizzativamente differenziato, doveva esercitare entro di essa attraverso i suoi militanti, senza pregiudicarne le possibilità di presa e di reclutamento massivo.
Questa concezione, così chiara, così sana, così retta fu assimilata dagli internazionalisti italiani ? A noi sembra che questa concezione,  al pari di molti altri insegnamenti di Bakunin in materia di teoria e di tattica, fu scarsamente assimilata dagli internazionalisti italiani.
In Italia la Federazione Italiana dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori fu soprattutto un partito politico e solo subordinatamente e parzialmente un’organizzazione di massa.
Anche la struttura organizzativa - in cui gruppi e circoli si mescolavano con sezioni di mestiere - rifletteva questa situazione confusa.

Le ragioni per cui la lezione di Bakunin non fu ben appresa dagli internazionalisti italiani sono di doppio ordine: in primo luogo la conoscenza del Bakunin in Italia fu limitata ai suoi rapporti epistolari e ai suoi contatti fisici (gli scritti più importanti del Bakunin non furono ne tradotti ne volgarizzati in Italia), in secondo luogo la sopravvivenza fra gli internazionalisti italiani del settarismo romantico, retaggio del Risorgimento, non poté essere eliminata d'un tratto e malgrado le polemiche contro Mazzini o contro Garibaldi, i seguaci di Bakunin restarono figli del loro tempo.
Tuttavia fra gli internazionalisti italiani, ve ne fu uno, il Malatesta, che non solo fu l'elemento meno incline ad una concezione settaria e conventicolare del lavoro rivoluzionario, ma fu colui che più e meglio degli altri seppe procedere ad un riesame autocritico dell'esperienza internazionalista e dei suoi limiti.
Egli scriverà molti anni più tardi (cfr. "Ancora tra Guillaume e  Malatesta" in Volontà del 21 febbr.1914):

“L' Internazionale era un’associazione operaia che mirava a riunire nel suo seno tutto il proletariato e quindi il suo terreno proprio era la lotta economica, indipendentemente dalle opinioni politiche, filosofiche, religiose che potevano dividere i suoi membri. E fu errore (l'errore che, secondo me, più d'ogni altro la condusse alla morte) quello di avere nei suoi congressi accolte certe teorie che diventavano la dottrina ufficiale dell'associazione. Queste teorie (collettivismo o comunismo, socialismo democratico, anarchismo ) avrebbero dovuto restare, a parer mio il programma dei gruppi d'idee, i quali dovevano propagarle fra le masse dell' Internazionale, senza pretendere ch'esse fossero accettate da tutti: cosa che da una parte precludeva l'entrata nell' Internazionale agli operai non ancora convertiti e dall'altra produceva la scissione e la lotta a morte fra le diverse scuole ed i diversi partiti, che erano entrati nell'associazione. Per questo errore l'Internazionale in Italia non fu realmente altra cosa che il Partito anarchico, e piuttosto una specie di Partito anarchico che comprendeva nel suo seno anche molti che erano anarchici o e comunisti solo perché quello era il programma dell'associazione in cui si trovavano”.

Ed in. altra occasione (“La Prima. Internazionale” in Pensiero e Volontà del 15 sett. 1924):

“ La prima Internazionale fu indipendente dai partiti, perché era essa stessa un partito, anzi due partiti che stavano insieme a disagio”

Questo riesame autocritico da parte del Malatesta si fa ancora più penetrante e spregiudicato per il periodo successivo alla fine dell' Internazionale. Com'è noto nel l88l si tenne a Londra un congresso internazionale che non solo segna la fine dell'internazionale ormai priva di una sua efficiente struttura, ma apre altresì una fase in cui la carenza di saldi vincoli associativi sul piano nazionale ed internazionale, la tendenza al terrorismo individuale (entrambi conseguenti all'appesantita pressione poliziesca che getta il movimento nella clandestinità) reagendo l'una sull'altra, aprono un pericoloso vuoto organizzativo che è il terreno più fertile per lo sviluppo di perniciose deviazioni individualistiche. Malatesta non solo resiste a queste deviazioni, tentando fra l'altro la ricostruzione dell'Internazionale in Italia nel 1884, ma è fra i primi a sviluppare una severa autocritica del periodo degli anni ottanta (1881/1889). Al congresso internazionale di Amsterdam del 1907 (cfr. resoconto in  II Pensiero del 16 ott. 1 nov. 1907) egli  dirà:

“...fui uno dei primi a deplorare l'attitudine d'isolamento altezzoso tenuta dagli anarchici dopo lo scioglimento della vecchia Internazionale, ed a spingere ancora i compagni sulla via che Monatte, dimenticando la storia, chiama nuova...”.

E pochi anni più tardi, riferendosi sempre allo stesso periodo (“Il principio d'organizzazione” in Il Pensiero del 1 ottobre 1910 ):

“... s'incominciò a predicare e sperimentare la disorganizzazione, e si volle levare a principio l'isolamento, il disprezzo degli impegni presi e l'insolidarietà, quasi fossero una conseguenza del programma anarchico, mentre invece ne sono la più completa negazione”

E nel 1889 quando dopo 4 anni di permanenza in Argentina, torna in Europa e fonda L'Associazione, egli comincia a mettere concretamente fine a questo periodo di debolezza e di smarrimento.

L'ASSOCIAZIONE (1889)

Fondando a Nizza il giornale "L'Associazione" Malatesta pone il problema di un rinnovamento della tattica rivoluzionaria che superi tre formule considerate ormai inefficienti; a) delle congiure b) delle sollevazioni popolari spontanee c) delle azioni propriamente politiche (moti a carattere democratico o repubblicano, senza incisioni sociali). Egli indica come tattica rivoluzionaria efficace quella della agitazione operaia ed in particolare dello sciopero economico che si sviluppa in sciopero generale ed in insurrezione armata. Prende occasione da un recente grandioso sciopero dei portuali di Londra (150.000 partecipanti) per sostenere la sua tesi e per applicarla in sede autocritica rivedendo e rettificando le posizioni negative assunte dalla Prima Internazionale davanti al fenomeno dello sciopero. Egli scrive ( "A proposito di uno sciopero" nel n. del 6 settembre 1889):

 “Confessiamo i nostri errori... Noi anarchici, messi tra i pregiudizi borghesi degli uni e l'utopia autoritaria degli altri, forse noi stessi ancora un poco imbevuti del vecchio spirito giacobino che dava poca importanza all'azione delle massa e credeva di potere emanciparle cogli stessi procedimenti che valgono ad asservirle, abbondammo nella critica dello sciopero come arma economica e non gli demmo tutta l'importanza che ha come fatto di rivolta morale. A poco a poco abbandonammo in mano ai reazionari ed ai moderati tutto il movimento operaio”

E a proposito dello sciopero di Londra :

“Noi che vorremmo prender parte ad ogni più piccola insurrezioncella, noi che ci stimeremo disonorati se facendosi le barricate in un punto qualunque non facessimo tutto il possibile per far eco al moto o per accorrere dove si combatte, abbiamo visto diecine di migliaia di uomini alzar gli scudi contro il capitale; abbiano visto la lotta inasprirsi ed assumere andamenti rivoluzionari. . e siamo restati inerti, lasciando il campo a quella categoria di sedicenti rivoluzionari che accorron dappertutto per sempre predicare calma e tranquillità e da tutto traggono occasione per porre una candidatura. E' tempo di ravvederci. Le masse arrivano alle grandi rivendicazioni per via dei piccoli reclami o dello piccole rivolte: mettiamoci con loro e spingiamole avanti.”

Commentando un altro grande sciopero, quello dei facchini di Rotterdam in Olanda, Malatesta trae dall'esperienza alcuni preziosi insegnamenti di dettaglio, specie per quanto riguarda la necessità da parte della minoranza rivoluzionaria di aderire al moto delle masse, di integrarsi con esso, di interpretarne ogni spinta tendenziale. Ecco alcuni di questi insegnamenti:

“più che badare ad affermazioni teoriche astratte, bisogna mettersi dal punto di vista della massa, scendere al suo punto di partenza e di là spingerla in avanti. in  mezzo  ai moti popolari bisogna, se si vuol fare opera proficua, sapersi adattare all'intelligenza, condizioni, abitudini e pregiudizi degli individui e delle masse per portarli per la più sollecita via alla concezione ed all'azione socialista.....si temono i noni, ebbene tacciamo i nomi, quando è utile per fare le cose. Pigliamo il popolo com'è ed andiamo avanti con lui; abbandonarlo perchè non intende in astratto le nostre formule ed i nostri ragionamenti sarebbe stoltezza o tradimento insieme" (“Un altro sciopero” nel n. del 27 ottobre 1889).

Infine in un articolo in cui viene riesaminata la tattica delle bande armate e respinta come inattuale e improduttiva perché

“a cose nuove ci vogliono metodi nuovi”,

Malatesta, senza ripudiare il metodo insurrezionale  così conclude:

“Ancora degli errori da confessare….Noi siano stati lungo tempo paralizzati per la smania di far cose di gran rilievo. Abbiamo perduti degli anni sempre preparando tentativi, che poi non venivano mai a temine, o, peggio ancora, aspettando che altri li preparasse. Mettiamoci alfine all'opera reale, pratica proficua ; facciamo quel che possiamo, ma facciamo, Sono più utili dello cose, magari per loro stesse insignificanti, ma ripetute sempre e in molti posti, anziché cose importanti che si fanno ogni dieci anni una volta”.

E' la teoria dell'azione sistematica, generale, di massa, capace di nobilitare grandi collettività che prende il posto dell'azione sporadica e individuale, elevata a principio.

ANDIAMO VERSO IL POPOLO  (1894)

Sul giornale “L'art. 248”  di Ancona (il giornale era così chiamato in riferimento all'articolo del Codice Penale in base al quale gli anarchici venivano condannati come malfattori), nel n. del 4 febbraio 1894 apparve un importante, appello di Malatesta, venuto clandestinamente in Italia per i moti del 94 di Sicilia e di Lunigiana. L’appello si apre con un severo e duro riconoscimento:

 “ Confessiamolo subito: gli anarchici non si sono mostrati all'altezza della situazione. Se si toglie il moto di Carrara che ha dato prova sì del loro coraggio e della loro devozione alla causa, ma anche dell’insufficienza della loro organizzazione, appena si sarebbe parlato degli anarchici in tanto commuoversi di   popolo in Sicilia ed in altre parti d'Italia  Dopo aver tanto  gridato di rivoluzione, la rivoluzione arriva e noi siamo stati disorientati e siamo restati presso che inerti. Può essere doloroso il confessarlo, ma il tacerlo e nasconderlo sarebbe tradire la causa e continuare negli errori che ci han condotto a questo punto. E’ tempo di ravvederci.”

Malatesta torna a puntare l’occhio della critica sul periodo del “vuoto organizzativo” degli anni ottanta:

“La causa principale, secondo noi , di questa nostra decadenza è l"isolamento in cui quasi dappertutto siano caduti. Per un complesso di cause che ora sarebbe troppo lungo esaminare, gli anarchici ,dopo. la dissoluzione  dell'Internazionale , perdettero il contatto delle nasse e si andettero man mano  riducendo in piccoli gruppi, occupati solo  'discutere eternamente e, purtroppo a dilaniarsi tra loro, o tutt’al più a fare  un po' di guerra ai socialisti legalitari”

Fatta questa constatazione Malatesta denuncia la responsabilità di coloro che in nome di una malintesa intransigenza hanno elevato l’isolamento a principio, hanno ricacciato il movimento  nell' impotenza  e rendono impossibile qualsiasi  lavoro di propaganda e di  organizzazione.

“Volete entrare in un’associazione operaia ? Maledizione !  Quell’ associazione  ha un presidente, ha degli statuti, non giura per il verbo anarchico:  ogni buon anarchico se ne deve tener lontano come  dalla peste. Volete fondare un'associazione di lavoratori per abituarli a lottare  solidariamente  contro i padroni ? Tradimento !  un buon anarchico non deve associarsi che con anarchici convinti, vale a dire deve star sempre con gli stessi compagni  e se vuol  fondare associazioni, non può dar nomi diversi ad un gruppo, composto sempre dalla stessa gente. Cercate di organizzare e sostenere scioperi ? Mistificazioni, palliativi ! Tentate manifestazioni ed agitazioni popolari? Pagliacciate!”

Diagnosticata crudamente la tesi della disorganizzazione che uccide il movimento ( “Questa è una tattica micidiale che equivale al suicidio. La rivoluzione non si fa in quattro gatti” )  viene indicato alla luce dei principi e delle passate esperienze, un valido rimedio:

“Andiamo  fra il popolo ; questa è l'unica via di salvezza.  Ma non vi andiamo con la boria burbanzosa di persone che pretendono possedere il verbo infallibile e disprezzano dall'alto della loro pretesa infallibilità chi non divide lo loro idee. Entriamo  in tutte le associazioni di lavoratori,  fondiamone più che possiamo, provochiamo federazioni sempre più vaste, sosteniamo  ed organizziamo  scioperi,  propaghiamo dappertutto con tutti i mezzi lo spirito di cooperazione e di solidarietà fra i lavoratori, lo spirito di resistenza e di lotta….Come anarchici noi dobbiamo  organizzarci tra noi, tra gente perfettamente convinta  e concorde: ed intorno a noi dobbiamo  organizzare  in associazioni larghe, aperte, quanti più lavoratori è possibile, accettandoli, quali essi sono e sforzandoci di farli progredire il più che si può”  (il testo completo dell’articolo è stato pubblicato su L’IMPULSO del 15 dicembre 1952)

Con questo appello, la teoria malatestiana sull’azione di massa era ormai definita  e cominciava  a  materializzarsi nelle file del movimento.  

L’ AGITAZIONE  (1897-98)

Il titolo del giornale fondato da Malatesta al suo ritorno in Italia, è già un programma.
In un articolo apparso sul n. 7 ottobre 1897 dal titolo “L'anarchismo nel movimento operaio” Malatesta indica ai compagni l’esempio dei compagni francesi operanti nelle organizzazioni sindacali del loro paese, commenta il recente congresso di Tolosa, ne pubblica un largo resoconto e la relazione di Delesalle sul tema della resistenza ( più tardi pubblicata in opuscolo con l’art. di Malatesta, come prefazione). E scrive:

“ Noi non vogliamo che  il nostro partito ai sostituisca alla vita popolare, ma lavoriamo perché questa vita sia ampia, cosciente, fervida, e perché il partito nostro possa esercitare in mezzo ad essa quel tanto d’influenza che gli viene naturalmente dall’attività e la sua azione di partito….Spetta a noi,  spetta  ai socialisti  in  generale, il coltivare nel proletariato la coscienza  dell'antagonismo di classe, e della necessità della lotta collettiva, ed il desiderio di por fine alla lotta e risolvere l’antagonismo stabilendo nel mondo l’eguaglianza, la giustizia, la libertà per tutti ..”

Queste posizioni egli difese contro i nullisti del tempo e contro tutti coloro che orano incapaci di porsi il problema di un lavoro di massa  (La nostra tattica nel n. del 30 dic. 1897; Questioni di tattica nel n. del 3 febbr. 1898. A quest’ultima data Malatesta era già in carcere, ma l’articolo fu probabilmente scritto prima dell'arresto). Una più  estesa trattazione del nostro problema la si ritrova in una serie di tre articoli pubblicati, sotto il titolo “L'organizzazione”  nei n. 4- 11 - 18 giugno 1897.  Ecco la divisione della materia:         

“ E prima di tutto distinguiamo,poiché  la questiono è triplice : l'organizzazione in generale  come principio e condizione di vita sociale,  oggi e nella società futura; l’ organizzazione del partito anarchico; e l'organizzazione delle forzo popolari e specialmente quella delle masse operaie per la resistenza contro il governo e contro il capitalismo”

A noi interessa in questa sede la terza parte. Nel trattarla Malatesta  parte da una annotazione preliminare, a fondo polemico:

“Vi sono stati degli anarchici, e ve n’è ancora del resto, i quali. pur riconoscendo la necessità dell’organizzazione nella società futura e la necessità di organizzarsi oggi per la propaganda e per l’ azione, sono ostili a tutto le organizzazioni che non hanno a scopo diretto l’anarchia e non seguono metodi anarchici. Ed alcuni si sono tenuti lontani da tutte lo associazioni operaie che si propongono la resistenza  ed il miglioramento di condizioni nell’attuale ordine di cose, o vi sono mischiati col proposito di disorganizzarlo”

Ma Malatesta reagisce contro questo atteggiamento rinunciatario:

“ Noi ci siano dati il compito di lottare contro la presente organizzazione  sociale e di abbattere gli ostacoli che si oppongono all’avvenimento di una nuova società in cui libertà o benessere siano assicurati a tutti. Per conseguire questo scopo noi ci uniamo in partito in quanto siamo anarchici e cerchiano di diventare più numerosi e più forti che sia  possibile. Ma se non vi fosse di organizzato che il nostro partito,  se i lavoratori restassero isolati come tante unità indifferenti l'una all'altra o solo legati dalla comune catena, se noi stessi, oltre di essere organizzati in partito in quanto siamo  anarchici, non fossimo organizzati coi lavoratori in quanto siamo lavoratori, non potremmo riuscire a nulla…”

E conclude invitando i compagni a portare avanti la preparazione rivoluzionaria, creando

 “ i nuclei intorno a cui possano rapidamente raggrupparsi le masse, non appena saranno libere dal peso che le opprime” e ad accrescere “quanto più è possibile le forze coscienti ed organizzate del proletariato”.

Identiche istanze vengono avanzate dal Malatesta in una intervista concessa per L' Avanti  al Ciancabilla (poco dopo convertitosi dal socialismo, all’anarchismo, quindi all’individualismo ed avversario del Malatesta nel  Nord America alla fine del secolo).
Indicando le cause interne della debolezza del partito Malatesta dichiara (cfr. Avanti del 3 ottobre 1897):

“ Fu inoltre errore gravissimo quello di esserci allontanati dal movimento operaio o di aver cessato così poco a poco dall'essere un partito vivente e popolare, per ridurci invece in un manipolo di dottrinari… Nei paesi dove il partito anarchico aveva vecchie tradizioni si sono ricostituite sezioni che lavorano attivamente ad estendere la propaganda e ogni giorno riescono a penetrare in qualche nuovo centro vergine alla nostra azione, incominciano a partecipare alla vita operaia e ad avere qualche influenza in mezzo alle organizzazioni economiche”

L'intervista suscitò una nutrita polemica con interventi della redazione dell'Avanti  ed una lettera di Pietro Gori. Malatesta  concluse la discussione con una nota impersonale pubblicata su L’ Agitazione del 4 novembre 1897. Egli rinnova in modo esteso l'autocritica verso il periodo dell' Internazionale e quello successivo degli “anni ottanta”.  Dopo aver rimproverato agli internazionalisti italiani di non aver saputo “distinguere abbastanza fra il movimento operaio ed il partito anarchico ” ripete:

L’Internazionale  stessa non fu mai altra cosa in Italia che il Partito socialista anarchico ; e quindi debole come organizzazione per la resistenza economica, perché non poteva fare breccia sulla massa che si spaventava del programma troppo avanzato ne  poteva accogliere operai appartenenti ad altri partiti, perché tutta occupata da scopi che esorbitavano dalle  piccole questioni della lotta operaia quotidiana, e perché continuamente disturbata dalle persecuzioni che s'attira sempre un partito rivoluzionario e debole come partito anarchico perché gran parte dei suoi membri erano operai, che dell'anarchia, o del socialismo comprendevano poco…E questa confusione sopravvisse all’ Internazionale…”

Per mettere fine a questa situazione Malatesta chiede non “dichiarazione teoriche”  e neppure "tentativi sporadici di organizzazione" ma “un lavoro costante, metodico, generale” che finora è mancato. Perché dice ancora Malatesta :
 
noi preferiamo piuttosto correre il rischio di sembrare più colpevoli di quello che siamo stati, anziché essere fiacchi e lenti nel correggerci ”

IL  CONGRESSO DI AMSTERDAM   (1907)

Nei giorni 27-31 agosto 1907 si tenne ad  Amsterdam un congresso internazionale anarchico. Malatesta vi partecipò, insieme a  Luigi Fabbri, come rappresentante del movimento italiano. La questione più  importante discussa in. detto congresso, fu , come affermò Malatesta in un articolo di. commento ( Resoconto generale del Congresso Internazionale Anarchico di Amsterdam, con pref. di Errico Malatesta.  Il Pensiero n° del 16 ott. - 1 nov. 1907) la questione sindacale.
Due tesi entrarono in contrasto:  quella del Monatte, uno degli artefici della  Confederazione Generale del Lavoro francese, sindacalista rivoluzionario  e quella del Malatesta, anarchico.
Malatesta reagì energicamente. al principio sostenuto da Monatte, che il sindacalismo (e quindi il sindacato) fosse autosufficiente a realizzare l’atto rivoluzionario.

“Il sindacalismo, dissi, anche so rinforzato dall'aggettivo rivoluzionario,  non può essere che un movimento legale, un movimento di lotta  contro il capitalismo nell’ambiente economico e  politico che il capitalismo e lo Stato gli impongono”

Questa affermazione suscitò allora delle vibrate proteste e perfino delle riserve di un uomo cosi perspicace come Luigi Fabbri..  Ma Malatesta  vedova giusto, scorgeva già le tendenze di sviluppo del sindacato, condizionato  dalla stessa società capitalista in cui esso operava. Tuttavia questo giudizio così realistico e così  spregiudicato non conduceva il Malatesta a conclusioni  assenteiste. Anzi egli rinnovava l'invito ai  compagni alla partecipazione attiva al movimento sindacalo e forniva loro dei preziosi consigli. Egli raccomandava: 

“Non domando che  i sindacati adottino un programma anarchico e non siano composti che da anarchici ; in questo caso sarebbero superflui, perché non  farebbero che ripetere la  funzione  dei gruppi anarchici e non  avrebbero più  le  qualità  che  li rendono cari a noi,  quelle cioè di essere un campo di propagandai oggi e un mezzo domani… Voglio dei sindacati largamente aperti a  tutti i lavoratori che cominciano a sentire il bisogno d’unirsi coi loro compagni per lottare contro i padroni”

 E completava :

“Domando che gli anarchici nei sindacati si diano, per missione di salvaguardare l'avvenire..... ; è funzione degli anarchici quella di tenere acceso il fuoco dell'ideale e di cercare di dirigere tutto il  movimento verso le conquiste dell'avvenire., verso la rivoluzione”

Dunque da una parte Malatesta  mette in  guardia i compagni contro la tendenza al monopolismo  politico nei sindacati,  cioè a voler fare del sindacato una brutta copia del “partito”, in. quanto questa tendenza  restringe le possibilità di presa del sindacato sui lavoratori di diversa fede politica o senza    una fede politica determinata, allontana o divide questi lavoratori, finisce per spezzare nelle nostre stesse mani un potente mezzo di influenza o di proselitismo; dall'altra egli denuncia il pericolo opposto, la tendenza  ad un atteggiamento passivo dell’organizzazione specifica di fronte all'organizzazione di massa, in certi  casi addirittura la tendenza alla. liquidazione dell'organizzazione specifica, il cui dovere è invece, per Malatesta, quello di essere presente e attiva, nella sua opera di orientamento politico verso il sindacato.


VOLONTÀ  (I913-14)

Quando Malatesta nel 1913 torna in. Italia, egli. si trova davanti ad una situazione sociale assai tesa in cui operano da una parte la riformista Confederazione Generale del Lavoro e dall'altra l'Unione Sindacalo Italiana, fondata appena un anno prima al congresso di Modena dai sindacalisti rivoluzionari , il Sindacato Ferrovieri Italiani e la Federazione dei Lavoratori del Mare.
Sul giornale “Volontà”  di Ancona egli fin dai primi numeri non esita ad esprimere le sue simpatie per il sindacalismo rivoluzionario (ma, egli soggiunge, più per il movimento sindacale come organizzazione operaia che per il sindacalismo come teoria o corrente d'idee); queste simpatie non gli impediscono tuttavia di formulare alcune riserve.

Egli coglie subito una contraddizione nell'atteggiamento  dei sindacalisti rivoluzionari i quali da una parte bandiscono la politica e la religione dai sindacati e quindi si pronunciano per un criterio di reclutamento che non è costituito dalle opinioni in materia politica e religiosa, né dalla posizione sociale –professionale  (e Malatesta si dichiara completamente d'accordo con queste posizioni) ma poi dall'altra parte cominciano a teorizzare il loro sindacalismo, a proclamare, nei metodi e nel fine,  l’orientamento libertario, antistatale, rivoluzionario, a contrapporlo al sindacalismo “confessionale” per alcune ragioni, a quello “autoritario”  per altre, a quello “riformista” per altre ancora a proporre addirittura, un programma politico per l'edificazione di una nuova società. Di tutto questo Malatesta scrive:

 “ Se quelle finalità sono davvero quelle di tutti i membri  dell'Unione  Sindacale, e se la loro accettazione cosciente è una condizione per esservi annessi, allora l'Unione non sarebbe che un'organizzazione di rivoluzionari più o meno anarcheggianti.  Noi potremmo rallegrarcene, ma sentiremmo allora il bisogno di un ' altra organizzazione veramente neutra, cioè esclusivamente anti-padronale, che potesse accogliere tutti i lavoratori, per essere campo aperto a tutti per la propaganda di tutte le idee” (Sul sindacalismo. Volontà. 20 luglio 1913)     

Riaffermando il principio .della neutralità del sindacato Malatesta non manca tuttavia di ribadire l’ altro principio ad essa complementare : la necessità dell’organizzazione politica che ha il compito non solo di spronare il sindacato ma soprattutto di rappresentare al di sopra di esso ed eventualmente contro le sue deviazioni corporative, contro il pericolo della concorrenza fra le diverse categorie,, contro i particolarismi ( dell'indigeno contro lo straniero, dell’uomo contro la donna,  dello specializzato contro il non qualificato, del salariato fisso contro l’avventizio),  contro la tendenza a soddisfare interessi immediati  a scapito di obiettivi di più larga e decisiva portata, contro tutte le insidie proiettate  nel movimento operaio dalla stessa egemonia del capitale, di rappresentare, dicevamo, l’interesse permanente e generale della classe e della rivoluzione.
Malatesta polemizza contro l’autosufficienza del sindacato come principio in quanto questo principio è fondato su una tesi errata, di natura meccanicistica: l’automatismo degli interessi.
Malatesta è convinto, come tutti i socialisti che il movimento operaio scaturisce dalla realtà sociale, acquista coscienza di classe sotto la spinta di determinate necessità e conclude alla rivoluzione socialista.
Ma tutto ciò non avviene automaticamente, meccanicamente, spontaneamente; avviene attraverso un processo che devo essere colto nei suoi momenti differenziati. In un successivo articolo “Gli anarchici e le leghe operaie”   (Volontà del 20 settembre 1913) Malatesta. chiarisce ancora meglio il suo pensiero:

 “Quindi quando noi domandiamo che i sindacati siano neutri, cioè aperti a tutti i lavoratori senza distinzioni di opinioni e di partiti, non è perché  crediamo basti associarsi in vista della lotta economica e che il resto verrà da sé; ma è semplicemente  perché solo colla neutralità politica e religiosa si può raccogliere tutta la massa., o gran. parte della massa, per i fini della propaganda e dell’azione rivoluzionaria. Vogliano che i sindacati siano neutri, perché altrimenti sarebbero infeudati ai politicanti e ai preti ; li vogliano neutri perché non possiamo averli anarchici. E anarchici non possiamo averli, perché per questo bisognerebbe che tutta la massa fosse anarchica, o altrimenti il sindacato si confonderebbe col gruppo anarchico, e lo scopo di raccogliere gli arretrati per propagandarli ed allenarli alla lotta verrebbe a mancare. Secondo noi dunque, il Sindacato dove restare neutro, per poter restare aperto a tutti, ma nel suo seno bisogna lavorare perché esso diventi di fatto sempre più rivoluzionario, sempre più socialista, sempre più anarchico. E perciò gli anarchici dovrebbero prendere parte  attiva al movimento operaio, favorire e promuovere la costituzione di sindacati e federazioni di sindacati, appoggiare e provocare scioperi, ed essere sempre solidali cogli operai in qualunque lotta essi impegnino contro i padroni e contro le autorità” (ibiden).

Per Malatesta il sindacato assolve dunque alla funzione di trade-union fra l'avanguardia rivoluzionaria e lo masse ancora inorganizzate, appena mosse da un primitivo istinto di resistenza e di difesa, solo se la sua impostazione  a-partitica e la sua conformazione organizzativa consente l'apertura di questo contatto. D'altra parte senza questo contatto  l’avanguardia finisce per restare isolata dal grosso, circondata e battuta

“….per abbattere il governo ed abbatterlo a scopo di emancipazione generale, bisogna
avere con noi quanta più massa, è possibile, ed una massa quanto più e possibile cosciente dello scopo per cui si deve fare la rivoluzione. E la massa. non viene alle idee anarchiche così di botto, senza un tirocinio più o meno graduale. Bisogna dunque entrare, in contatto colla massa, per sospingerla avanti ed averla con noi in piazza nei giorni della lotta, risolutiva. Le organizzazioni economiche ci sembrano uno dei mezzi migliori di cui disponiamo” (ibiden)

Questi concetti diretti soprattutto a coloro che nel movimento anarchico stesso erano ostili al lavoro sindacale, vengono ripetuti ed ampliati in un successivo articolo   (“Gli anarchici e i sindacati operai” in Volontà del 20 dicembre 1913) in cui appare una osservazione  nuova che non si limita a  costatare il carattere riformista del sindacato ma ne coglie anche i limiti come strumento di azione rivoluzionaria (ciò che ovviamente non muta la tesi Malatestiana, anzi la conferma, tenuto presente  l'ulteriore involuzione statalista o collaborazionista del sindacato, anche per i nostri tempi ). Scrive Malatesta dei sindacati : 

“E non crediamo neppure ch’essi possano essere, come asseriscono i sindacalisti, l’embrione della società di liberi e di  uguali a cui aspiriamo. I sindacati  necessariamente nascono e si sviluppano lungo le linee tracciate  del sistema di produzione attuale, e sono perciò organi disadatti per compiere quella profonda rivoluzione di tutta la vita sociale, senza la quale il privilegio e l’oppressione non spariranno mai completamente”

In un altro articolo (“Lo sciopero generale. La lotta  politica e lotta economica” in Volontà del 27 dicembre 1913) Malatesta applica i suoi principi sulla divisione di lavoro fra organizzazione di massa ed organizzazione specifica, già illustrati in sede organizzativa, alla tattica e contrappone al fatto economico dello sciopero generale il fatto politico dell’ insurrezione, che è come  lo svolgimento del  primo, la fase superiore e risolutiva dell’azione rivoluzionaria
Questa intensa attività divulgativa, qua e la punteggiata da sfrecciate polemiche contro il sindacalismo elettorale di De Ambris o contro l’antisindacalismo preconcetto di alcuni individualisti, non poteva che provocare una reazione polemica da parte dei sindacalisti puri.
Cominciò  Giovanni Bitelli con un articolo sull’Internazionale di Parma del 1 gennaio 1914. Malatesta replicò su Volontà del 10 gennaio dello stesso anno (“Barricate e lotta economica”) ma la discussione restò limitata a questioni di secondaria importanza. Intervenne quindi Livio Ciardi con una lettera al Malatesta pubblicata su “Volontà” del 17 gennaio 1914.
L’autore  svolse una sua difesa del sindacalismo ma non rispose ai quesiti posti dal Malatesta (il  Ciardi passerà poi al fascismo e oggi è agli ordini della CISL). Malatesta replica nel n. del 24 gennaio 1914 riportando al centro della discussione il problema della necessità dell'organizzazione di partito, differenziata e complementare in rapporto all'organizzazione sindacale, argomentando che, poiché  questa ultima non può possedere per virtù intrinseche della classe una concezione generale della rivoluzione, una teoria rivoluzionaria, spetta alla prima importarvela. E riconferma le linee della sua tesi:

“In primo luogo il movimento operaio (sta per movimento sindacale n.d.r.), per poter attirare la massa deve essere neutro, o almeno parerlo (la sottolineatura è nostra n.d.r.), in politica, in religione ed in qualunque questione d'ordine generale." In secondo luogo, poiché  la neutralità espone il sindacato a insidie e deviazioni ecco... l'importanza, la necessità dei gruppi d’idee, dei partiti se la parola non vi dispiace, cioè dell’azione concertata di uomini che mettono l’ideale al di sopra dell’interesse, che per l’ideale combattono, che l’ideale propagano e che verso l’ideale cercano di orientare tutte le organizzazioni e tutti i movimenti”

Sopravviene in difesa del sindacalismo rivoluzionario Armando borghi con un lungo articolo apparso su “Volontà” del 7 febbraio 1914, nel quale polemizzando contro lo spiritualismo da una parte e contro il fatalismo dall’altra, l’autore sostiene una integrazione che solleciti l’intervento della volontà, cioè dei gruppi ‘azione o dei gruppi d’idee  come fora motrice nel conflitto automatico degli interessi. I concetti esposti da Borghi rappresentano una confusa derivazione della filosofia della prassi. Lo conferma lo stesso borghi nell’articolo successivo (Volontà del 21 feb. 1914) quando osserva a Malatesta che a dividerli

“ c’è forse anche un diverso grado di apprezzamento della teoria del materialismo storico, che a parere mio tu dimentichi troppo…”

Ora può darsi che Malatesta sottovalutasse l'importanza teorica del materialismo storico ; ma nella pratica era assai più conseguente seguace di questa teoria di quanto il Borghi potesse immaginare. Andiamo avanti e vedremo. Fatta la concessione sull’utilità dei gruppi d'idee il Borghi si irrigidisce nella negazione del partito, cioè di una organizzazione politica differenziata dal movimento sindacale e portatrice della teoria rivoluzionaria. I gruppi d'azione o gruppi d'idee restano per Borghi dei nuclei incorporati e confusi nella stessa organizzazione sindacale che ovviamente per il Borghi basta a se stessa. E’ l'operaismo che ingoia ed esaurisce in se stesso l’anarchismo. La distinzione e il rapporto fra struttura e sovrastruttura è completamente ignorato, come è ignorato il problema della direzione rivoluzionaria in sede tattica Malatesta così postilla la lettera del Borghi :

“ La questione è di  sapere se il movimento operaio, di per se stesso, per il solo fatto che è organizzazione di proletari, porta necessariamente, sicuramente all’emancipazione  integrale di tutto quanto il proletariato cioè all’abolizione del salariato ed all'instaurazione di un nuovo regime sociale,  in cui tutti possono trovare libertà e giustizia. Io dico che il movimento operaio, abbandonato a se stesso, cioè all’azione  naturale   ,spontanea dogli interessi in contrasto, può condurre alle più disparate conclusioni ”

E dopo aver elencato alcune di queste conclusioni, soggiunge :

“ Gli effetti reali, che produrrà il movimento operaio  (sta per sindacale  n.d.r.) dipendono, secondo me, dalle idee e dall'azione cosciente e  voluta di quella  minoranza  che  viene ad acquistare influenza  nel movimento ed a darle la direzione ”

Non è difficile a Malatesta cogliere il Borghi in contraddizione e dimostrare che egli con la sua negazione dei partiti giungo all'affermazione di un altro partito . il partito sindacalista.

La risposta di Borghi è elusiva,  tanto sulla questione teorica quanto sulla questione organizzativa e Malatesta  non insiste nella polemica, impegnato in una ben più vasta discussione col Giullaume.
La discussione investe ancora una volta lo stesso problema, prima sul piano storico (valutazione della I° Internazionale), poi sul piano teorico. Malatesta anche con Guillaume non ha che da ribadire le sue  posizioni ("insisto sulla necessità dei gruppi di gente d'idee per mantenere e spingerò il movimento, nella direzione voluto.” cfr “Intorno alla vecchia Internazionale”  su Volontà del 14 marzo 1914). E a proposito dell’ Unione Sindacale Italiana alla quale egli non nega le sue simpatie, ripete:

“ Noi vogliamo che essa resti neutra sul terreno politico o religioso, perché possa accogliere tutte le masse che cominciano a ribellarsi contro lo sfruttamento ed a mettersi in lotta  contro i padroni.  Anarchici, vogliamo fare la propaganda  anarchica e profittare del movimento a  vantaggio della causa nostra ; ma non vorremmo che l’ Unione si dichiarasse   anarchica perché essa allora non sarebbe che un duplicato inutile del movimento anarchico e mancherebbe al suo scopo precipuo, che è quello di suscitare lo spirito di ribellione fra le masse inerti, di addestrarle alla lotta e di preparar le a comprendere  ed accogliere un  programma di radicale trasformazione della società” (Ancora tra Guillaume e Malateata  in Volontà del 21 marzo 1914).

La discussione volge al termine. sul n. del 4 aprile il giornale riporta ancora uno scritto di Bertoni, ma poiché Bertoni ha manifestato una concezione piuttosto qualitativa che quantitativa del sindacato,  Malatesta postilla :

“Ecco (il sindacato), come ha bisogno dell’adesione della massa operaia per poter menare la lotta, economica attuale, ha bisogno del più gran numero possibile di aderenti per offrire un largo campo, alla  propaganda ed essere una leva possente il giorno dell'insurrezione. Esso dunque deve essere - o parere. - neutro.  Dare ai sindacati un programma determinato, che andasse oltre la generica affermazione della lotta di classe, significherebbe non far più dei sindacati, ma dei gruppi anarchici, o socialisti, o repubblicani ecc”

Siamo al 4 aprile. Sul problema interviene ancora Luigi Fabbri sul n.del 2 maggio.
E’ la vigilia dalla settimana rossa e della guerra mondiale. La lotta aperta sta per prendere il posto della ricerca teorica che riprenderà solo nel dopoguerra.

 IL DOPOGUERRA ROSSO  (1920-1923)

Al suo ritorno in Italia nel 1920 Malatesta riprende sul  tema sindacale la sua opera d'orientamento. Come egli non manca di esprimere la sua simpatia per l’ Unione Sindacale Italiana uscita rafforzata quantitativamente e qualitativamente dopo la guerra, per il Sindacato Ferrovieri Italiani, per la Federazione dei Lavoratori del Mare  (cfr. “Gli anarchici  ed il movimento operaio”in Umanità Nova del 17 agosto 1920), così egli difende l'atteggiamento degli anarchici che operano nella Confederazione  Generale del Lavoro (U.N. del 29 settembre 1921). Ecco che cosa scriveva  poco dopo il suo arrivo in Italia :

“ Le nostre maggiori simpatie sono.....nella Confederazione del Lavoro vi sono pure molti compagni nostri e le masse affiliate  alla Confederazione sono -  ed è ciò che più importa – lavoratori autentici animali in realtà dallo stesso spirito che anima le masse affiliate dell’Unione Sindacale. Occorre soprattutto che queste masse dall'una e dell'altra organizzazione si affratellino e lottino insieme. Se i regolamenti della Confederazione sono tali che  impediscono la sincera espressione della volontà degli associati, bisogna combattere quei regolamenti e cercare di cambiarli. Se molti tra i dirigenti della Confederazione sono,come sembra a noi, dei collaborazionisti che si sforzano di spegnere ogni sentimento di rivolta, e di soffocare ogni movimento bisogna combattere contro questi dirigenti e  sforzarsi che la masse non si facciano condurre come pecore dai cattivi pastori. Ma occorre che le masse siano unite e sarebbe errore fatale voler  disfare una organizzazione per rinforzarne un'altra.  Bisogna sospingere avanti tutte le organizzazioni penetrandovi dentro e portandovi lo spirito nostro” ( Fronte Unico Proletario in U.N. dell’ 8 aprile 1920).      

Su un piano generale l’ avvertimento di Malatesta resta lo stesso dell'anteguerra e nel citato articolo programmatico ( U.N. del 17 agosto 1920) egli riprende con stringente logica i vecchi argomenti: virtù del sindacalismo (educazione alla solidarietà alla pratica associativa, alla coscienza di classe ; dimostrazione pratica, degli antagonismi di classe e della forza della classe lavoratrice), ma sua insufficienza rivoluzionaria e sua funzione limitatamente riformista con tali pericoli di involuzione da giustificare la necessità dell’ organizzazione politica con compiti di orientamento rivoluzionario e di vigilanza in tutti gli organismi sindacali ( sul fondo obbligatoriamente riformista del sindacato cfr “ Gli anarchici ed il movimento operaio ”  in U.N. del 17 giugno 1920 e “ Discorso, ad un comizio dell' U.S.I.”  in U.N. del 14 marzo 1922).
La tesi è ampiamente sviluppata nella lunga relazione sull’argomento presentata da Malatesta al congresso dell' Unione Anarchica Italiana e negli interventi svolti  in detta sede  sulla stessa relazione. Sono due documenti di fondamentale importanza (pubblicati in U. N.  del 26,27,28 ottobre e 4 novembre 1921).

Malatesta segue quella che è ormai la costante del suo pensiero: premesso che il movimento è,  per così dire, la matrice e la motrice dell’ idea rivoluzionaria, criticata l'azione incerta e sconnessa svolta per il passato da parte degli anarchici nel movimento, egli pone una domanda a quanti ancora esitano fra i compagni nell’imboccare la via giusta: 

“Ma è consigliabile, è utile, è possibile per gli anarchici restar fuori delle organizzazioni operaie, o parteciparvi solo passivamente, semplicemente in quanto sono operai che hanno bisogno di lavorare e non vogliono fare i crumiri ? ”

E risponde:

“ A me sembra che sarebbe una sciocchezza, che ammonterebbe in pratica ad un tradimento della causa rivoluzionaria, o più generalmente, della causa del progresso e della emancipazione, umana. II movimento operaio è oramai uno dei fattori principali della storia di oggi e di quella del prossimo domani, e disinteressarsene significherebbe mettersi fuori della vita reale, rinunciare ad esercitare un'azione sensibile sugli avvenimenti… Le organizzazioni operaie per la resistenza contro i padroni sono il mezzo migliore, forse l'unico accessibile a tutti per entrare in contatto permanente con le grandi masse, farvi,la propaganda delle idee nostre….Fuori delle associazioni operaie…  noi resteremmo sempre impotenti a dare un indirizzo nostro al corso degli eventi e dovremmo accodarci agli altri…Dunque, a parer mio, gli anarchici dovrebbero penetrare in tutte le organizzazioni operaie, farvi propaganda, acquistarvi influenza ed accettare in esse tutte le  funzioni e tutte le responsabilità compatibili, s’intende, con la loro qualità d inarchi ”

Questa è la linea. Sul piano pratico Malatesta affronta i problemi connessi al lavoro di  massa nei sindacati. Da una parte. C'è la CGL, organizzazione maggioritaria a indirizzo riformista, dall'altra l'USI, il Sindacato Ferrovieri e la Federazione dei Lavoratori del Mare a indirizzo più o meno "rivoluzionario" Egli dice:

" Vi sono in Italia varie grandi organizzazioni operaie. Noi dobbiamo lavorare e lottare in tutte quante ..... (ovviamente secondo le situazioni locali, di categoria, di forza, non contemporaneamente n.d.r.) dobbiamo preferire quelle che più si avvicinano a noi, ma non dobbiamo abbandonare le altre al monopolio dei nostri avversari"

E nel chiedere questa azione di propulsione e di controllo da parte degli anarchici nelle varie organizzazioni sindacali, egli chiede anche una " intesa fra le frazioni anarchiche che operano in organizzazioni diverse.

" E dobbiamo appoggiarci ed intenderci tra noi per il lavoro che facciamo nelle varie organizzazioni e per l'atteggiamento da prendere e per l'azione da svolgere nelle varie occasioni. Perciò io proporrei che tutti gi anarchici che si trovano in grado di esercitare dell'influenza nelle organizzazioni operaie stabiliscano tra loro un'intesa permanente e si tengano in rapporti regolari per agire d'accordo"

Analoghi concetti sono ripresi in un discorso pronunciato da Malatesta al Congresso di chiusura dell'USI nel 1922, dove egli non esita a contrapporre la realtà dei sindacati come fatto naturale, necessario,utile se ben utilizzato e il sindacalismo che resta una astrazione dottrinaria, sterile teorizzazione di un fatto che di per se stesso non è e non può essere la rivoluzione (U.N. del 6 aprile 1922). E riaffermando i caratteri riformisti del sindacato invoca la necessità dell'azione politica della minoranza rivoluzionaria:

"....il sindacalismo operaio è per sua natura riformista e non già rivoluzionario: il rivoluzionarismo vi deve essere immesso, sviluppato e mantenuto per l'opera costante dei rivoluzionari che agiscono fuori e dentro del suo seno,ma non può essere la esplicazione naturale e normale della sua funzione ..." (ibidem)

Ne trascura di rinnovare l'acuto giudizio, espresso nell'anteguerra sul rapporto fra sindacati ed organizzazione statale capitalistica, che ora trova l'esatta sua formulazione sul piano della ricerca dello strumento rivoluzionario da sostituire al sindacato (Consigli di fabbrica)
 
" I quadri dell'organizzazione operaia attuale corrispondono alle condizioni odierne della vita quale è risultata dalla evoluzione storica e dall'imposizione capitalistica. E la nuova società non può realizzarsi, se non rompendo quei quadri e creando organismi nuovi, corrispondenti alle nuove condizioni ed ai nuovi fini sociali" (ibidem)

Un altra discussione che occupò in quel tempo il movimento anarchico fu quella riguardante prima l'adesione o meno degli anarchici alla III° Internazionale come organizzazione schiettamente politica (Internazionale Comunista), la costituzione di una nuova Internazionale dei Lavoratori a carattere sindacale. Fin dall'aprile del 1920 Malatesta aveva espresso il suo avviso per la creazione di una nuova Internazionale non anarchica o socialista, comunista ma semplicemente operaia.  

“La vera Internazionale dei Lavoratori dovrebbe unire tutti i lavoratori che hanno coscienza dei loro interessi di classe, tutti i lavoratori che sanno  di essere sfruttati e non lo vogliono essere più, tutti i lavoratori che intendono lottare, quali che siano i mezzi preferiti, contro il capitalismo. In questa Internazionale dei Lavoratori noi potremmo unirci tutti, anarchici e  socialisti, sindacalisti, senza che nessuno rinunzi ai propri. fini ed. ai propri metodi.. In essa ciascuno troverebbe un campo per la propria propaganda; tutti.. troveremmo una nuova leva potente per trascinare le masse alla lotta definitiv”   (U.N. 24 aprile 1920)

Questa idea egli riprese anche in seguito in varie occasioni. Nel 1923, un anno dopo l'avvento del fascismo, Malatesta invia un suo rapporto al- Congresso anarchico internazionale di. Parigi (pubblicato in Fede del 30 settembre 1923).  E' assai significativo che questo rapporto sia dedicato al tema  "La condotta degli anarchici nel movimento sindacale". Malatesta dopo aver premesso che "noi .abbiano sempre compreso la  grande importanza del movimento operaio e la necessità per gli anarchici di esserne parte attiva e propulsiva", riferisce sulla esperienza italiana del dopoguerra e sul movimento rivoluzionario dogli anni precedenti al fascismo.  II rapporto è tutto un attento esame della situazione sindacale venutasi a creare in Italia dopo la disfatta proletaria e un riesame della tattica sindacale seguita dagli anarchici organizzati nell'Unione Anarchica Italiana. Malatesta difende efficacemente questa tattica come la solo possibile e giusta nella fase di espansione: rivoluzionaria del dopoguerra.

PENSIERO E VOLONTA'  (1924-1926)

Il problema si ripresenta su questa rivista che. fu l'ultima manifestazione pubblica del pensiero di Errico Malatesta.
Si ripresenta sul piano politico tattico e sul piano politico-teorico.
Sul piano politico -tattico Malatesta in un articolo dal titolo " L'Unità Sindacale" (Pensiero e Volontà del 16 febb -16 marz. 1925) affronta la questione. allora attuale della fusione delle varie organizzazioni sindacali in un unica organizzazione. Egli si augura, anche a costo di dispiacere a qualche compagno affezionato  all'USI che il movimento fusionista continui e si estenda. Anzi Malatesta incita i propri compagni a prendere essi stessi l'iniziativa dell'unità sindacale.

 " ...E vorrei, che i nostri, compagni  accettassero e magari si facessero antesignani di questa tendenza, che rappresenta poi l'intimo  desiderio di quel gran numero  di. lavoratori che si sentono fratelli con tutti coloro che lavorano e soffrono con loro ...non. già perchè gli anarchici indulgano ai metodi dei dirigenti della Confederazione Generale, ma perchè ...fraternizzino colle masse organizzate nella Confederazione"

Dopo ave indicato nella divisione una delle cause della sconfitta davanti al fascismo e nell'unione una delle premesse per la riscossa, egli .torna ad invitare i propri compagni a condurre nelle organizzazioni in cui essi militano una azione in senso unitario. Il fascismo mette in atto tutti i mezzi, dalla persecuzione alla corruzione. per sgretolare l' organizzazione proletaria. Solo l'unità può essere una difesa efficiente contro queste manovre.

" Quindi è urgente che tutti coloro che vogliono sinceramente e senza mire personali, l'elevazione dei lavoratori e l'umana emancipazione, facciano il possibile per giungere alla desiderata unione. E naturalmente  noi saremmo fieri se i. compagni nostri, gli anarchici., si distinguessero per il loro zelo in quest’opera salutare"

Ma il sindacato unitario non è solo per Malatesta. un mezzo più efficace per resistere al fascismo, ma è forma naturale e compiuta dell'organizzazione economica di classe.
In un successivo articolo su "Sindacalismo, e anarchismo" (Pensiero e Volontà  l6 apr.- 16 mag. 1925 ) egli scrive :

" Perché il sindacato possa, servire al suo  proprio scopo e nello stesso tempo essere mezzo di educazione e campo di propaganda per una futura radicale trasformazione sociale "bisogna ch'esso raccolga tutti i lavoratori, o almeno tutti quei lavoratori che aspirano  a migliorare le loro condizioni e che si riesce a rendere capaci  di una qualsiasi resistenza contro i padroni"

E a questo effetto il sindacato non può che essere riformista e non deve essere politicizzato: neppure con etichetta anarchica

"Il sindacalismo (...quello pratico...)...è di sua natura riformista. Tutto quello che da esso si. può sperare è che le riforme che esso pretende e consegue  siano tali ed ottenute in modo tale che servano  alla educazione ed alla preparazione rivoluzionaria e lascino la via aperta a sempre maggiori pretese"  

E quindi :

" 'Date le circostanze quali sono, dato il grado di sviluppo delle masse in mezzo a cui si lavora, i gruppi anarchici, non dovrebbero pretendere che le organizzazioni agissero come fossero anarchiche, ma dovrebbero sforzarsi perchè essi di accostassero  il più possibile alla tattica anarchica"
Dunque niente indifferenza, apoliticismo, ermafroditismo sindacale.

" ma (gli anarchici) debbono agire nel loro (dei. sindacati) seno a pro degli scopi anarchici, come individui, come gruppi, come federazioni di gruppi"

Dunque niente azione individuale,sporadica,saltuaria. No, azione organizzata ed orientata.

"nello stesso modo che vi sono, o vi dovrebbero essere, gruppi di studio e di discussioni,  gruppi per la scritta o orale in mezzo al pubblico, gruppi cooperativi, gruppi che agiscono nelle officine, nei campi, nelle caserme, nelle scuole ecc. ecc.  così si. dovrebbero formare dei gruppi speciali, nelle varie organizzazioni che fanno la lotta di classe"

.E cosa dovrebbero fare questi gruppi? Della propaganda dottrinaria, astratta, ideologica in senso catechistico ? No: questi gruppi devono legare la loro attività orientata politicamente ai problemi concreti dell'organizzazione: resistenza al settarismo, al corporativismo, alla burocrazia ; per la solidarietà, per il.. federalismo e per la democrazia interna, per l'indipendenza dai maneggi elettorali, per l'elevamento culturale etc. Malatesta difende questa sua posizione unitaria in una vivace polemica con il giornale " El Productor" di Barcellona (cfr "Movimento operaio e anarchismo"  in Pensiero e Volontà del 16 di.c. 1925) Egli scrive :

" la differenza dunque che può esservi tra noi  non è nella finalità, ma nella tattica che crediamo più adatta a raggiungere la nostra comune finalità. Vi è chi crede che gli. anarchici debbano cercare di riunire in associazione separata i lavoratori anarchici o che almeno abbiano simpatia per le idee anarchiche. Io vorrei invece che tutti i salariati si riunissero nelle stesse organizzazioni,  qualunque siano le loro opinioni -o non opinioni - sociali, politiche , religiose, legati solo dalla solidarietà nella lotta contro i padroni, e che gli anarchici restassero nella massa indistinta per portavi, il fermento dello loro idee e del loro esempio. Può darsi che circostanze speciali di uomini, di ambiente, di momento storico consiglino, o rendano inevitabile, la divisione della massa operaia organizzata in frazioni diverso corrispondenti allo diverse concezioni politiche-sociali, ma in linea generale mi pare che bisogna tendere all'unità che affratella ed abitua alla solidarietà tutti indistintamente i lavoratori, che li rende più forti nelle lotte contingenti dell'oggi o meglio li prepara alla lotta finale ed alla concordia necessaria l'indomani della vittoria. Certamente l'unità che noi dobbiamo propugnare non deve significare soppressione della libera iniziativa, uniformità obbligatoria, disciplina impostai, il che trasformerebbe un movimento di liberazione in un freno ed uno spegnitoio.  Ma è solo la nostra adesione al movimento unitario che può salvare la libertà nell'unità: se no, l'unità si fa lo stesso perché essa è condizione di forza e si fa a danno della libertà"

E impartisce une. lezione ai maniaci delle scissioni:

"vi è dei compagni i. quali dicono - e l'hanno fatto quando si è presentato - che bisogna ritirarsi e costituire delle organizzazioni di minoranza ; ma questo, secondo me, significa condannarsi a ricominciar sempre da capo, poiché la nuova organizzazione, se non resta un semplice gruppo di affinità che non conta nella lotta operaia, percorrerà la stessa parabola dell'organizzazione che si è abbandonata. Ed intanto seminerà germi di rancori in mezzo ai lavoratori, sciuperà il meglio delle proprie forze nella concorrenza coll'organizzazione maggioritaria; mentre poi, por spirito di solidarietà, per non fare il gioco dei padroni, e per l'interesse dei propri membri, dovrà, caso per caso, accordarsi, alla maggioranza e subire la direzione dei capi di questa. Un' organizzazione operaia che si dicesse anarchica e fosse e restasse veramente tale e che dovesse essere composta solo di anarchici convinti potrebbe essere una forma, in certe circostanze, utilissima, di aggruppamento anarchico, ma non  sarebbe il movimento operaio, e mancherebbe allo scopo di questo movimento, che è quello  di attirerà nella lotta la grande massa e, per noi specialmente, quello di creare un vasto campo di propaganda per fare dei nuovi anarchici"
E conclude :

" Per queste ragioni io sono di opinione che gli anarchici debbano restare, naturalmente quando è possibile restarvi con dignità e indipendenza, nelle organizzazioni tali quali sono per lavorarvi dentro e cercare di spingerle il più avanti possibile, pronti a servirsi, nei momenti critici della storia, dell'influenza che possono avervi acquistata  per trasformarle repentinamente da modeste armi di difesa in potenti strumenti di assalto.
E questo, si intende bene, senza trascurare il movimento proprio, il movimento d'idee, che è l'essenziale, ed al quale tutto il resto deve servire di mezzo e di strumento"
La lettera di Malatesta sollevò rumorose proteste nel campo dell'anarcosindacalismo  ibero-americano. Intervennero nella polemica Gabriel Biagiotti,  Diego Abad De Santillan, Vittorio Aurelio. Ma Malatestà non faticò molto (cfr "Ancora su Movimento operaio e sindacalismo" in P.e V. del marzo 1926.) a cogliere le contraddizioni e  la grande confusione d'idee in cui questi suoi obiettori navigavano con una disinvoltura pari allo loro superficialità.

 

CONCLUSIONE

Riteniamo utile sintetizzare in 10 punti la tesi di Malatesta per una linea sindacale che noi possiamo oggi far nostra e definire "malatestiana" :

I - La rivoluziono operaia è concreta od effettiva nella misura in cui è vissuta e realizzata dalla classe lavoratrice.

II - II movimento rivoluzionario (anarchico) è tale  (rivoluzionario e anarchico ) nella misura in cui è legato alle classe lavoratrice.

III - Differenziazione  organica fra movimento politico e movimento economico della classe (in sede teorica e in sede organizzativa).

IV - Complementarità dei due movimenti organizzati sul piano della lotta di classe.

V - Negazione dell'autosufficienza del sindacati  (ed affermazione della necessità, di presenza o di azione direttiva, del partito.

VI - Negazione dell'autosufficienza del partito (ed affermazione della necessità dei contatti organici con lo masse, del lavoro di massa).

VII - Rifiuto di pregiudiziali ideologiche, politiche nel sindacato (sul piano del reclutamento) e sua base di massa.

VIII - Fondo riformista del sindacato, condizionato dal quadro del sistema capitalista in cui esso opera.- Necessità di nuovi strumenti di lotta per l'atto rivoluzionario (Consigli).

IX - Azione rivoluzionaria del gruppo politico (partito) nei sindacati: azione permanente, responsabile, organizzata.

X -  Unità sindacale sul piano della democrazia interna e della autonomia dai partiti e dallo stato, sulla base del principio della solidarietà di classe

FINE